Lesione legamento crociato anteriore

Recupero del legamento crociato anteriore senza intervento: quando è possibile e come avviene

Una lesione o rottura del legamento crociato anteriore (LCA) è uno degli infortuni più frequenti tra chi pratica sport o attività fisiche intense. Spesso, al momento della diagnosi, nasce il dubbio se sia davvero necessario l’intervento chirurgico oppure sia possibile recuperare senza operarsi.

In molti casi, un percorso di riabilitazione mirato e personalizzato può consentire di recuperare pienamente la funzionalità del ginocchio senza ricorrere alla chirurgia. 

Quando puoi evitare l’intervento chirurgico per il crociato?

In molti casi, la lesione del legamento crociato anteriore (LCA) non richiede un intervento chirurgico.

Puoi evitarlo se:

  • la lesione è parziale e la stabilità del ginocchio è ancora buona;
  • non pratichi sport ad alto impatto o cambi di direzione frequenti;
  • segui un programma di riabilitazione mirato, con esercizi di rinforzo e recupero della propriocezione;
  • ti affidi a un fisioterapista esperto nella riabilitazione del LCA, capace di valutare la risposta funzionale del ginocchio nel tempo.

In questi casi, un percorso di fisioterapia personalizzata può consentirti di tornare a una vita attiva senza ricorrere alla chirurgia e con un recupero progressivo e sicuro.

Come fisioterapista specializzato in riabilitazione sportiva, mi occupo della LCA valutando di volta in volta il tipo di lesione, il livello di stabilità o instabilità e gli obiettivi del paziente.

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Cos’è il legamento crociato anteriore e perché può lesionarsi

Il legamento crociato anteriore (LCA) è uno dei principali stabilizzatori del ginocchio: collega femore e tibia, controllando i movimenti di rotazione e traslazione.

Lesione legamento crociato anteriore

La rottura del crociato può avvenire a causa di una torsione improvvisa, di un arresto brusco durante una corsa o un salto, oppure per un trauma diretto. È molto frequente negli sport che prevedono cambi di direzione rapidi come calcio, basket, sci e pallavolo.

Quando si parla di rottura del crociato anteriore, la lesione può essere parziale o totale: nel primo caso, la stabilità del ginocchio può essere mantenuta e la riabilitazione conservativa rappresenta un’opzione valida.

Sintomi di una lesione o rottura del crociato

I principali sintomi di rottura del crociato includono:

  • Dolore acuto e immediato al momento dell’infortunio
  • Gonfiore importante entro poche ore
  • Sensazione di instabilità o cedimento del ginocchio
  • Difficoltà a sostenere il peso sull’arto infortunato

Un’attenta valutazione fisioterapica e funzionale permette di comprendere la gravità della lesione e di impostare il corretto percorso di trattamento. 

Recupero del legamento crociato anteriore senza intervento: quando è possibile

Il recupero del legamento crociato anteriore senza intervento è possibile in presenza di:

  • Lesione parziale del LCA
  • Ginocchio stabile o con lieve instabilità
  • Attività sportiva non agonistica o moderata
  • Buon tono muscolare e controllo neuromotorio

In questi casi, la fisioterapia può sostituire l’intervento chirurgico, lavorando su stabilità, forza e propriocezione (capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio).

La decisione finale viene sempre presa in base a una valutazione accurata tra medico ortopedico e fisioterapista.

Quindi, in caso di crociato anteriore lesionato: operare o no? 

La risposta non è universale poiché dipende dalla gravità del singolo caso, valutato in modo integrato tra medico e fisioterapista. Ciò che è certo è che la fisioterapia risulta essere una risposta non invasiva e concreta, sufficiente in molti casi e, negli altri, di supporto nel pre e nel post-operatorio.

Le fasi del protocollo di riabilitazione conservativa

La riabilitazione dopo la lesione del legamento crociato anteriore (LCA) ha l’obiettivo di ripristinare la stabilità del ginocchio, ridurre il dolore e permettere un ritorno graduale all’attività quotidiana o sportiva.

Il percorso di riabilitazione segue un protocollo progressivo, suddiviso in tre fasi principali, con esercizi mirati per evitare compensi, rigidità articolare e per migliorare il controllo neuromuscolare.

1. Fase acuta: Ridurre dolore e infiammazione

Gli obiettivi in questa prima fase, sono:

  • Controllare gonfiore e dolore: tramite riposo, ghiaccio, terapie fisiche mirate e, se necessario, supporto farmacologico.
  • Ripristinare la mobilità articolare: attraverso esercizi dolci di mobilizzazione.
  • Mantenere il tono muscolare: mediante contrazioni isometriche o esercizi leggeri.

In questa fase, vengono utilizzate terapie strumentali come la Tecarterapia, Laserterapia e Pressoterapia, che favoriscono la circolazione e il recupero tissutale.

Possono essere eseguiti esercizi di attivazione muscolare leggera, come sollevamenti della gamba distesa o flesso-estensioni controllate.

2. Fase funzionale: Rinforzo e stabilità

Nello specifico, con il ginocchio stabile, si introducono:

  • Esercizi di resistenza progressiva (elastici, macchine isotoniche leggere).
  • Lavoro su equilibrio e controllo posturale, con tavolette propriocettive e bosu
  • Mini-squat e affondi parziali per stimolare la catena cinetica senza stress eccessivo.

Una volta ridotti dolore e infiammazione, l’obiettivo diventa recuperare forza, equilibrio e controllo motorio. Il fisioterapista lavora con esercizi mirati per il quadricipite, i muscoli posteriori della coscia e la propriocezione, seguendo protocolli di riabilitazione LCA validati.

3. Fase di ritorno allo sport

Attraverso test funzionali specifici, si valuta la piena efficienza del ginocchio e la simmetria di movimento:

  • Analisi della corsa(valutazione di passo, postura e distribuzione del carico).
  • Esercizi pliometrici controllati (salti monopodalici, skip leggeri)
  • Allenamento funzionale con cambi di direzione graduali
  • Simulazioni dei gesti specifici dello sport praticato.

Ultima ma cruciale, la fase di riatletizzazione mira a riportare il paziente alle proprie attività sportive in sicurezza. L’obiettivo è garantire un ritorno graduale allo sport, prevenendo nuovi infortuni e migliorando le prestazioni.

Ricorda: ogni percorso di riabilitazione LCA deve essere personalizzato. Gli esercizi vanno modulati in base alla tipologia di lesione (parziale o completa), alla stabilità del ginocchio e agli obiettivi del paziente.

Esperienze di recupero dopo lesione del crociato

Ecco alcune testimonianze reali di pazienti che si sono rivolti al mio studio per il recupero delle funzionalità del ginocchio dopo una lesione del legamento crociato.
recensioni pazienti dottore Guido Baroni in merito al trattamento per la lesione del crociato LCA
recensioni pazienti dottore Guido Baroni in merito al trattamento per la lesione del crociato

Quando è necessario l’intervento chirurgico

Non tutte le lesioni del crociato possono essere gestite senza intervento. La chirurgia diventa necessaria in presenza di:

  • Lesione completa del LCA
  • Instabilità marcata del ginocchio
  • Pratica sportiva agonistica o ad alto impatto
  • Lesioni multiple ai legamenti

In questi casi, si può optare per la ricostruzione del legamento crociato anteriore, talvolta con innesto o con legamento crociato artificiale. Anche in questo scenario, la fisioterapia resta fondamentale prima e dopo l’intervento per garantire il miglior recupero possibile.

Tempi di recupero: cosa aspettarsi

I tempi di recupero del crociato anteriore senza intervento variano in base alla gravità della lesione e alla costanza del paziente nel seguire il programma riabilitativo. In genere:

  • Fase iniziale (riduzione dolore e gonfiore): 2-4 settimane
  • Fase di rinforzo e stabilità: 6-10 settimane
  • Ritorno graduale all’attività sportiva: 3-5 mesi

Un approccio conservativo ben gestito può portare a risultati eccellenti, con ripristino completo della funzionalità articolare.

Come la fisioterapia a Firenze può aiutarti nel recupero

Nel mio studio di fisioterapia a Firenze Sud, ogni percorso di recupero viene personalizzato in base alla tipologia di lesione e agli obiettivi del paziente.

Grazie all’integrazione di fisioterapia manuale, terapie strumentali e allenamento funzionale, è possibile tornare a muoversi in sicurezza, anche senza intervento chirurgico.

Scopri di più sulla riabilitazione sportiva a Firenze o prenota una visita fisioterapica per valutare il tuo percorso di recupero.

Domande frequenti sulla riabilitazione del crociato anteriore

Posso recuperare il crociato anteriore senza intervento?

Sì, se la lesione è parziale e il ginocchio è stabile, la fisioterapia può consentire un recupero completo.

Hai subito una lesione al crociato?

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Sintomi da artrite reumatoide

Artrite reumatoide: come intervenire con la fisioterapia?

Cos’è l’artrite reumatoide

L’artrite reumatoide è una malattia autoimmune ed è uno dei tipi più comuni di infiammazione cronica. Nel 2017 si è addirittura stimato che sia presente in 19milioni di casi in tutto il mondo, con un aumento del 7,4% dal 1990. È più comune nelle donne e può manifestarsi a qualsiasi età, con l’età più comune tra i 50 ei 60 anni.

La principale manifestazione clinica è la poliartrite infiammatoria simmetrica, ma ci sono anche manifestazioni extraarticolari, come il coinvolgimento polmonare, la vasculite e la sindrome sistemica. Stanchezza, artrite e deformità sono le principali complicanze dell’artrite reumatoide, che portano alla compromissione della funzione corporea. Anche altri sintomi come fatica e dolore vanno ad influire in maniera sostanziale sulla disabilità e soprattutto sulla qualità della vita dei pazienti.

Come si tratta l’artrite reumatoide

Viste le caratteristiche dell’artrite reumatoide, una gestione incentrata sui sintomi a livello articolare non risulta sufficiente. Bisogna infatti considerare anche gli aspetti di benessere generale e psicosociale. Per fare ciò risulta adatto l’esercizio fisico, che oltre a migliorare la sintomatologia della patologia allevia anche un eventuale stato emotivo negativo.

È opportuno intervenire con un approccio specifico per ogni paziente, infatti gli esercizi devono essere scelti considerando anche le condizioni di partenza. L’attività ad alta e media intensità, con particolare focus verso gli esercizi dinamici, tende ad avere i migliori effetti a livello cardiovascolare e muscoloscheletrico, ma deve essere sempre messa molta attenzione sulla gravità dell’articolazione colpita.

Per quanto riguarda la durata dell’allenamento, si possono anche prevedere programmi brevi al di sotto dei 6 mesi, ma quelli più efficaci risultano essere quelli di 6-12 mesi. Questi, infatti, permettono di avere un controllo e una gestione ottimale del dolore.

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Impingement femoro-acetabolare a carico dell'anca

L’impingement femoro-acetabolare: cos’è e come si tratta

L’impingement femoro-acetabolare (in inglese “Femoroacetabular Impingement Syndrome” oppure FAI) è una condizione articolare dell’anca in cui si verifica un contatto anomalo prematuro tra la testa del femore e il margine dell’acetabolo (la cavità dell’osso iliaco che accoglie la testa femorale). Questo può apparire sia in correlazione a un movimento che mantenendo a lungo una posizione statica.

In condizioni normali, la testa del femore ruota liberamente nella cavità acetabolare grazie alla conformazione “a palla-e-presa” (ball-and-socket), permettendo un’ampia escursione articolare. Con la FAI, la forma ossea o la posizione delle componenti articolari impediscono la normale cinematica, generando attrito, microtraumi e lesioni della cartilagine o del labrum acetabolare.

Dal punto di vista clinico e radiografico, oggi si parla di “sindrome da impingement femoro-acetabolare” (FAIS) quando la deformità morfologica ossea è associata a sintomi e segni clinici.

Le principali tipologie: cam, pincer e forme miste

Le principali tipologie morfologiche della FAI sono le seguenti:

  • Tipo Cam (a “camma”): la testa del femore non è sufficientemente sferica o presenta un’escrescenza ossea nella giunzione testa-collo (head-neck junction). Durante la flessione o la rotazione interna dell’anca, questa deformità “sborda” contro l’acetabolo, causando danni a cartilagine e labrum.
  • Tipo Pincer (a “pinza”): l’acetabolo presenta un’eccessiva copertura della testa femorale (over-coverage) o un orientamento retroverso/alterato, e questo lascia meno spazio per la testa femorale durante il movimento, generando pinzamento del labrum e danno articolare.
  • Forma mista (Cam + Pincer): è la forma più frequente. Molti pazienti presentano contemporaneamente alterazioni sia femorali sia acetabolari. In ogni caso, l’urto tra i capi articolari contribuisce all’usura dell’articolazione.

Queste alterazioni morfologiche non garantiscono automaticamente sintomi: esistono persone con alterazioni morfologiche compatibili con FAI ma asintomatiche.

La diagnosi di FAI richiede la triade: sintomi + segni clinici + evidenza morfologica.


Come si manifesta: i sintomi da non sottovalutare

Dolore all’inguine

Il sintomo più comune è il dolore localizzato nella zona inguinale, spesso definito come un dolore “profondo” o “interno” all’anca che può irradiarsi alla coscia o al gluteo.
Il dolore può essere scatenato da movimenti come la flessione dell’anca, la rotazione interna, lo stare seduti a lungo, o da attività sportive che coinvolgono l’anca in modo intenso.

Limitazioni nei movimenti dell’anca

I pazienti con FAI spesso presentano una riduzione della mobilità dell’anca, in particolare nella rotazione interna, nella flessione e nell’abduzione. Possono essere presenti manovre cliniche positive come la prova di flessione-addizione-rotazione interna (FADIR) o di flessione-adduzione-rotazione esterna (FABER) che provocano dolore o scrosci articolari (“click”).

Altri sintomi

Oltre al dolore e alla limitazione di movimento, la sintomatologia può prevedere:

  • Click, “catching”, sensazione di blocco o cedimento dell’anca.
  • Rigidità articolare, soprattutto al mattino o dopo un periodo di immobilità, talvolta dolore riferito al gluteo, alla coscia o all’inguine.
  • In soggetti sportivi, peggioramento della performance, difficoltà nel cambio di direzione o nel mantenimento della flessione dell’anca.

Come viene diagnosticato il conflitto femoro acetabolare: esami e test clinici utili

Esami fisici

Una valutazione clinica accurata è il primo passo. L’anamnesi dovrebbe includere: storia del dolore (durata, localizzazione, fattori scatenanti), antecedenti sportivi, posture prolungate, etc.

Durante l’esame fisico si valuta la mobilità articolare (in particolare la rotazione interna dell’anca in flessione), la forza dei muscoli peri-acetabolari (adduttori, abduttori, flessori), la presenza di manovre di impingement come FADIR e FABER. In uno studio recente viene sottolineato che pazienti con FAI mostrano forza ridotta in muscoli come gluteus maximus/minimus, rotatori esterni, adduttori.

Test di imaging

Gli esami radiologici sono fondamentali per identificare le alterazioni morfologiche ossee:

  • Radiografia standard (antero-posteriore del bacino + proiezione laterale del collo femorale) utile per valutare angolo alpha, angolo centro-marginale laterale, offset della testa/collo, copertura acetabolare.
  • RM o artro-RM (risonanza magnetica) per valutare lesioni del labrum, della cartilagine articolare e altri tessuti molli.
  • In alcuni casi TC (tomografia computerizzata) per valutare con dettaglio la morfologia ossea.

È importante sottolineare che la sola presenza di alterazioni morfologiche non è sufficiente per la diagnosi: occorre correlazione clinico-strumentale.

Visita specialistica

È consigliabile che il paziente sia valutato da un ortopedico esperto in anca o struttura di medicina dello sport che possa integrare clinica, radiologia e stabilire la strategia terapeutica più adeguata. In particolare, la presenza di: dolore persistente nonostante terapia conservativa, segni radiologici di usura articolare (artrosi iniziale) o forte limitazione funzionale suggerisce necessità di consulenza chirurgica.


Trattamento fisioterapico dell’impingement: obiettivi e tecniche efficaci

La fisioterapia rappresenta la prima linea per la gestione della FAI sintomatica (in assenza di grave artrosi o deformità irreversibili). Gli obiettivi principali sono: migliorare la stabilità lombo-pelvica, la forza dei muscoli dell’anca, correggere squilibri muscolari e schemi motori alterati, ridurre i movimenti che generano impingement.

In un’analisi prospettica condotta da Pennock et al. su 76 pazienti adolescenti con Femoroacetabular Impingement Syndrome, un protocollo non operatorio (riposo, fisioterapia, modifiche dell’attività) ha evitato l’intervento chirurgico in circa l’82% dei casi dopo un follow-up medio di 2 anni (70% solo fisioterapia + 12% con iniezione).

Un piano fisioterapico ben strutturato deve prevedere una riduzione dell’attività fisica che grava sull’anca, concentrandosi invece su una rieducazione gesto-specifica: esercizi di potenziamento dei glutei, adduttori, rotatori esterni, core stability + stretching dei flessori/ischiocrurali. Questo approccio può migliorare significativamente la funzione e ritardare o evitare la chirurgia.

Esempio di schema del trattamento:

  • Fase 1: mobilizzazione delicata, core activation, evitamento di attività scapriccianti dell’anca
  • Fase 2: potenziamento eccentrico, neuromuscolare, controllo del movimento
  • Fase 3: ritorno progressivo a sport o attività funzionali specifiche

Questa fase può essere integrata con l’assunzione di farmaci anti-infiammatori non steroidei e con il ricorso a terapie strumentali.

Farmaci antidolorifici

Gli anti-infiammatori non steroidei (FANS) possono essere utilizzati per controllare il dolore e l’infiammazione associata, permettendo una migliore partecipazione alla terapia fisica. In alcuni casi si valutano iniezioni intra-articolari (cortisone, acido ialuronico) come misura temporanea; tuttavia, la letteratura al momento indica beneficio solo a breve termine e non come soluzione definitiva.

Modifiche dell’attività fisica

È fondamentale che il paziente modifichi o eviti quegli esercizi/posizioni che aggravano il conflitto (es. flessione profonda dell’anca, squat profondo, lunghe sedute con anca flessa) e adotti posture più “amiche” per l’anca. L’attività fisica andrà adattata per mantenere il movimento e la forza, evitando tuttavia sovraccarichi o schemi motori che incrementano l’attrito articolare.


Quando valutare l’intervento chirurgico

Artroscopia dell’anca

Quando la terapia conservativa non è sufficiente (ad esempio dolore persistente, lesione del labrum, danno cartilagineo, limitazione funzionale) può essere indicato un intervento chirurgico sull’anca. Questo viene solitamente eseguito in artroscopia ed è consigliato per pazienti giovani e sportivi che non riescono ad allenarsi in modo performante.

I risultati a medio-lungo termine sono generalmente buoni, ma la selezione del paziente è cruciale (meno artrosi, buona cartilagine residua, motivazione al recupero).

Osteotomia

In casi selezionati, soprattutto quando l’alterazione è acetabolare grave (es. retroversione, over-coverage globale), può essere indicata un’osteotomia acetabolare (periacetabolare) per correggere l’orientamento del bacino e ridurre l’impatto meccanico. Questa opzione è più complessa e richiede un centro specializzato.

Altri interventi chirurgici

Altri interventi meno frequenti possono includere: chirurgia open con dislocazione dell’anca (oggi meno usata), oppure procedure combinate in presenza di artrosi avanzata che possono condurre a un’artroplastica totale dell’anca in futuro.


Riabilitazione post-operatoria

Dopo l’intervento chirurgico (soprattutto artroscopico), la fisioterapia è fondamentale per ripristinare la mobilità, la forza e i pattern motori corretti. L’approccio graduale deve rispettare le indicazioni del chirurgo (limitazione della flessione/rotazione nei primi tempi, protezione del labrum/fissatura se presenti).

La progressione verso l’attività sportiva deve essere ben guidata con una riabilitazione post-operatoria: inizialmente movimenti controllati, poi esercizi funzionali, infine sport specifici. Il ritorno completo allo sport può richiedere mesi, e la compliance del paziente è determinante per il risultato.

È importante un follow-up regolare con il chirurgo ortopedico per monitorare la guarigione, valutare la radiologia di controllo se indicato, e verificare l’assenza di complicanze come rigidità residua, persistente dolore o artrosi.


Prevenzione e stili di vita: come ridurre il rischio di recidiva

Una strategia preventiva consiste nel mantenere un buon tono muscolare e controllo neuromotorio dell’anca e del core. Esercizi mirati agli adduttori, glutei, rotatori esterni, stretching dei flessori dell’anca e degli ischiocrurali aiutano a preservare la meccanica articolare.

Evita posture e attività che impongono flessioni profonde, ad esempio squat senza controllo, correnti movimenti di torsione elevata dell’anca, sedute prolungate con anca flessa. Queste condizioni incrementano il rischio di conflitto articolare e aggravamento della FAI.

Sebbene non esistano linee guida specifiche che collegano l’alimentazione alla FAI, mantenere un peso corporeo adeguato e uno stile di vita attivo contribuisce a ridurre il carico sull’anca e a preservare la salute articolare. Posturalmente, è utile adottare sedute corrette, evitare di mantenere l’anca flessa per lunghi periodi, alternare posizione e movimento.


In conclusione: come gestire il conflitto femoro acetobolare

L’impingement femoro-acetabolare è una condizione che, se non correttamente diagnosticata e gestita, può portare a danno articolare e osteoartrite precoce.

L’approccio ideale segue una sequenza:

  • identificazione precoce
  • terapia conservativa mirata
  • valutazione specialistica
  • eventuale intervento chirurgico.

Domande frequenti sull’impingement femoro-acetabolare

Come capire se il dolore all’anca è dovuto a un impingement?

Il dolore tipico del FAI si localizza all’inguine o nella parte anteriore dell’anca, peggiora con la flessione o la rotazione interna e può irradiarsi alla coscia o al gluteo. Durante la visita ortopedica vengono eseguiti test specifici come il FADIR test (flessione–adduzione–rotazione interna) che, se positivo, riproduce il dolore caratteristico del conflitto articolare.

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Paziente affetto da inibizione muscolare artrogenica

Inibizione muscolare artrogenica

L’inibizione muscolare artrogenica (Arthrogenic Muscle Inhibition – AMI) è un disordine neuro‑riflesso che provoca debolezza e incapacità di attivare completamente il quadricipite, anche in assenza di danni diretti al muscolo o al nervo.

Questa inibizione si osserva in seguito a un trauma o a un intervento chirurgico come la ricostruzione del legamento crociato anteriore, gonfiore acuto o condizioni degenerative (es. osteo‑artrosi), e può compromettere la funzionalità motoria e la stabilità dell’articolazione del ginocchio.

I meccanismi dell’AMI non sono ancora del tutto noti, ma l’unica cosa certa al momento è come sia in parte causata dall’impossibilità di sviluppare la forza contrattile del muscolo.

L’inibizione muscolare artrogenica è clinicamente importante poiché porta ad una diminuzione della funzionalità fisica. Inoltre si aggiunge alle conseguenze sopracitate la debolezza del quadricipite causa un incremento del carico sul ginocchio con una conseguente perdita di tessuto cartilagineo ed una riduzione dello spazio articolare con conseguente artrosi precoce. È quindi per tutti questi motivi che risulta fondamentale un intervento tempestivo.

Importanza clinica e impatti funzionali

Riduzione della forza

Il quadricipite subisce una riduzione dell’attivazione volontaria fino al 30‑50% anche oltre 10‑15 giorni dall’insulto articolare. Può persistere una forma lieve di AMI anche a distanza di 6‑12 mesi o oltre, specie dopo artroplastica o lesione cronica.

Instabilità articolare e rischio di recidiva

Una perdita di forza muscolare e propriocezione aumenta il rischio di instabilità funzionale del ginocchio e recidiva di traumi. In caso di LCA, meniscopatia o artrosi precoce, l’AMI diventa un fattore cronico che impedisce il pieno recupero.

Prevenzione artrosi

Il carico assiale scorretto, promosso da un quadricipite sotto‑attivato, determina uno stress articolare elevato e un progressivo consumo cartilagineo. L’intervento tempestivo è dunque essenziale per prevenire degenerazione e osteo‑artrosi.

Strategie terapeutiche efficaci per contrastare l’AMI

Diversi studi hanno mostrato come la strategia migliore per gestire questa condizione sia:

  • Crioterapia, cioè l’applicazione di ghiaccio o cryo-packs direttamente sull’articolazione. Funziona soprattutto in fase acuta (entro 48‑72 ore). Riduce l’eccitabilità degli interneuroni inibitori, modula i recettori cutanei e diminuisce l’attività riflessa inibitoria verso il quadricipite portando ad un miglioramento significativo.
  • Fisioterapia, ovvero l’esercizio terapeutico con esercizi mirati e specifici per ogni paziente.

Il percorso fisioterapico, fra le altre cose, deve concentrarsi su esercizi di resistenza e rafforzamento muscolare.

Terapie strumentali come ultrasuoni ed elettrostimolazione, invece, si sono dimostrate poco efficaci per il trattamento dell’inibizione artrogenica.

Studio di riferimento: Arthrogenic muscle inhibition after ACL reconstruction: a scoping review of the efficacy of interventions

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La fibromialgia provoca dolori diffusi

Fibromialgia: come alleviare i disturbi grazie alla fisioterapia

La fisioterapia scende in campo come fedele alleata dei pazienti affetti da fibromialgia. Sempre più studi infatti dimostrano come il trattamento non farmacologico sia il più efficace. Così anche EULAR (European League Against Rheumatism) raccomanda la gestione del paziente fibromialgico tramite l’utilizzo di esercizi mirati al miglioramento della forza resistente e della capacità aerobica.

Cos’è la fibromialgia

La fibromialgia è una patologia cronica caratterizzata da dolori muscolari diffusi associati ad affaticamento, rigidità, problemi di insonnia, difficoltà di concentrazione e alterazioni dell’umore.

Le cause esatte dell’insorgenza di questa malattia non sono ancora note, ma gli esperti suppongono un’origine multifattoriale. Tra questi includono fattori genetici, infettivi, ormonali, traumi fisici e psicologici. L’ipotesi più plausibile è che venga compromesso il modo in cui il cervello processa il dolore, infatti chi soffre di fibromialgia avrebbe una soglia del dolore più bassa alla media.

Diagnosi di fibromialgia

La diagnosi della fibromialgia si basa su presenza e persistenza di dolori diffusi ma risulta particolarmente lunga perché gli specialisti devono prima escludere ogni altra possibile patologia. Si stima infatti che ci vogliano più di 2 anni per riconoscere la fibromialgia, con una media di 3,7 medici diversi consultati.

I numeri parlano del 2% della popolazione mondiale colpita da questa malattia, con una maggiore influenza sulle donne in età adulta.

Trattamento della fibromialgia

Le linee guida EULAR sul trattamento della fibromialgia di basano sullo studio di G. J. Macfarlane (puoi leggerlo qui) che si è posto come obiettivo la revisione delle indicazioni terapiche basandosi sull’evidenza scientifica.

Sulla base di questo studio, e di altri precedenti, si può affermare che il primo passo per la gestione della fibromialgia deve essere l’educazione del paziente. E’ stata infatti evidenziata l’importanza di far comprendere al soggetto la situazione clinica e i vari fattori che la influenzano, in modo tale da poter agire anche sull’aspetto biopsicosociale.

Il secondo passo deve essere poi un approccio non farmacologico, con particolare attenzione al miglioramento di:

  • Forza resitente, cioè la capacità del muscolo di durare per un tempo relativamente lungo
  • Capacità aerobica, cioè la quantità di tempo in cui si riesce a tenere ritmi elevati

Nel caso in cui queste terapie non risultino efficaci si può considerare un approccio combinato, valutando anche terapie farmacologiche. Si è visto che piccoli miglioramenti sono stati ottenuti con:

  • Agopuntura, con un miglioramento del dolore del 30%
  • Agopuntura ed elettricità, con un miglioramento del dolore del 40% e dell’affaticamento del 20%

Si sono invece dimostrate scarsamente efficaci le terapie meditative, così come il biofeedback, l’ipnoterapia e il massaggio.

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Metodo peace & love per distorsione alla caviglia

PEACE & LOVE, ecco il metodo per guarire da un trauma muscolare.

Negli ultimi anni la gestione di distorsioni, stiramenti o contusioni ha subito un’evoluzione importante grazie a un nuovo protocollo: PEACE & LOVE. Questo approccio moderno, fondato su evidenze scientifiche, permette di guidare il recupero in modo più efficace e personalizzato, sia nella fase acuta che in quella sub-acuta e cronica.


Gestire traumi e lesioni muscolo-scheletriche: la nuova guida PEACE & LOVE

Quante volte ti sei chiesto come comportarti dopo una distorsione alla caviglia o un trauma muscolare? La risposta più efficace oggi è l’acronimo PEACE & LOVE!

PEACE & LOVE è stato proposto per la prima volta da alcuni autori su British Journal of Sports Medicine per sostituire definitivamente il R.I.C.E. e rappresenta il nuovo protocollo per le lesioni dei tessuti molli. Oltre alla gestione del danno nell’immediato, il protocollo si pone obiettivi a lungo termine, infatti non agisce esclusivamente sull’infortunio ma lavora sulla persona, in modo tale da abbattere il rischio di recidiva.

Fino ad oggi gli approcci più conosciuti erano:

  • ICE (ghiaccio-compressione-elevazione)
  • RICE (riposo-ghiaccio-compressione-elevazione)
  • POLICE (protezione-carico ottimale–ghiaccio-compressione-elevazione)

Questi approcci però, nel tempo, si sono dimostrati poco efficaci.

Capiamo meglio cosa significa la sigla PEACE & LOVE

Spiegazione acronimo Metodo fisioterapico PEACE and LOVE: protocollo per le lesioni dei tessuti molli

Subito dopo l’infortunio, si parla di P.E.A.C.E., cioè:

  • Protezione, bisogna infatti salvaguardare l’arto infortunato da ulteriori traumi
  • Elevazione dell’arto per ridurre il ristagno di liquidi
  • Antinfiammatori (NON assumerne!) Il corpo ha bisogno di un processo di guarigione fisiologica, assumerne significherebbe solo ritardare questo processo
  • Compressione, un bendaggio appositamente confezionato aiuta a riassorbire i liquidi e quindi a ridurre il gonfiore
  • Educazione, il paziente deve essere informato sulle tutte le fasi della guarigione e sull’importanza della fisioterapia attiva, riducendo così al minimo le sedute passive che risultano poco utili alla ripresa

La settimana successiva al trauma si può passare al L.O.V.E., ovvero:

  • Load (carico), aumento progressivo del carico rispettando il dolore
  • Ottimismo, fortunatamente non siamo fatti solo di muscoli ed ossa! Anche il nostro aspetto psicologico vuole la sua parte, un approccio positivo è uno dei punti chiave per una guarigione ottimale
  • Vascolarizzazione, passato altro tempo è possibile riprendere una blanda attività cardiovascolare per restituire una corretta circolazione sanguigna ai tessuti e facilitarne quindi la guarigione
  • Esercizi, se tutto procede bene e i parametri come dolore e gonfiore lo permettono, possiamo iniziare un lavoro specifico per tornare alle attività della vita quotidiana e allo sport

Riassumendo, nella prima fase è importante proteggere la struttura lesionata, cercando di evitare le attività che aumentano il dolore. Da sottolineare è il consiglio di evitare l’utilizzo degli anti-infiammatori, ancora largamente usati nella pratica clinica.

Nella seconda fase invece si pone l’attenzione sull’aumento di carico e sulla progressione dell’esercizio a discapito di trattamenti passivi e del riposo completo.

Perché R.I.C.E. è superato?

Il protocollo R.I.C.E. (Rest, Ice, Compression, Elevation), pur essendo stato per anni il riferimento nella gestione dei traumi, non tiene conto delle risposte biologiche e neurofisiologiche necessarie per un recupero completo. Gli studi più recenti dimostrano come l’eccessiva immobilizzazione e il solo controllo del dolore non siano sufficienti per favorire una vera guarigione tissutale.

Domande frequenti su PEACE & LOVE

Il protocollo PEACE & LOVE si applica solo agli sportivi?

Assolutamente no. Anche se questo metodo nasce in ambito sportivo, è altamente utile per chiunque abbia subito un trauma muscolare o articolare, incluse persone sedentarie, anziane o con ridotta mobilità. Il protocollo è pensato per supportare il recupero fisiologico dei tessuti e può essere adattato a qualsiasi livello di attività.

Hai subito un trauma muscolare o articolare?

Nel mio studio applico il protocollo PEACE & LOVE nei percorsi di riabilitazione sportiva e per il recupero da lesioni ortopediche.

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Lesione legamento crociato anteriore

Legamento crociato anteriore, operarsi o no?

Ritorno allo sport dopo la lesione

Dopo una lesione del legamento crociato anteriore (LCA) è possibile tornare a praticare sport senza un intervento chirurgico. La raccomandazione più recente nella gestione di soggetti con una lesione del LCA è infatti quella di affrontare un’adeguata riabilitazione, cioè trattarli in modo conservativo. (https://misuse.ncbi.nlm.nih.gov/error/abuse.shtml)

Cos’è il legamento crociato anteriore?

Il legamento del crociato anteriore è uno dei quattro legamenti più importanti del ginocchio. È così definito perché insieme al suo omonimo posteriore si incrocia al centro dell’articolazione. La sua funzione è quella di stabilizzare il ginocchio, infatti impedisce che la tibia si sposti in avanti rispetto al femore.

Il legamento crociato anteriore è sottoposto ad estreme sollecitazioni, soprattutto in sport con cambi di direzione. La sua lesione è infatti uno dei traumi sportivi più frequenti. (Scopri la Fisioterapia sportiva)

Studio KANON

Su questo tema lo studio KANON ha mostrato che solo il 51% dei pazienti trattati conservativamente ha richiesto in seguito un intervento chirurgico. Lo studio ha valutato il livello di ripresa dell’attività sportiva (RTS) dopo una lesione del LCA in pazienti che hanno seguito un programma di riabilitazione incentrato principalmente sul recupero della forza e della stabilità dinamica.

I soggetti sono stati contattati dopo 12 mesi dall’infortunio e la maggior parte ha dichiarato di aver modificato l’attività sportiva. Nello specifico hanno detto di prestare una maggiore attenzione ai movimenti e in particolare all’appoggio del piede. Secondo lo studio, infatti, l’89% dei pazienti non chirurgici è tornato a praticare sport senza bisogno di un intervento chirurgico. Inoltre il 33% dei pazienti trattati praticava uno sport che prevede cambi di direzione e l’11% svolgeva attività a livello competitivo.

In conclusione, lo studio KANON mette in evidenza l’importanza della fisioterapia nei soggetti con lesione del legamento crociato anteriore screditando così il tradizionale approccio di ricostruzione chirurgica.

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In evidenza una spalla congelata, o capsulite adesiva

Spalla congelata: intervieni tempestivamente!

Cos’è la spalla congelata?

La spalla congelata, detta anche capsulite adesiva o frozen shoulder, è una patologia della spalla che porta a una riduzione del movimento dell’articolazione. È spesso accompagnata da dolore alla spalla e se non trattata in modo tempestivo può portare alla totale rigidità. La capsulite adesiva ha un’incidenza del 3% sulla popolazione ed è più diffusa tra le donne di età compresa tra i 40 e i 60 anni.

Si può dividere in due categorie:

  • Spalla congelata primaria, che non ha una causa scatenante ed è la più diffusa.
  • Spalla congelata secondaria, cioè correlata a una o più cause che possono essere sistemiche, come il diabete, o localizzate come ad esempio una prolungata immobilizzazione in seguito a un trauma.

Quali sono i sintomi della spalla congelata?

Il sintomo più diffuso della capsulite adesiva è l’impossibilità di movimento nelle varie direzioni. Inoltre si presenta spesso un dolore notturno aspecifico, cioè non riconducibile a un trauma o un’attività specifica.

La patologia si sviluppa generalmente in 3 fasi:

  1. Congelamento, o freezing, ossia la progressiva perdita di movimento e un aumento del dolore. Questa fase dura 3 o 4 mesi.
  2. Rigidità, o frozen, cioè la fase in cui il dolore generalmente diminuisce ma la rigidità permane. Dura dai 4 ai 12 mesi.
  3. Scongelamento, o thawing, ovvero la fase risolutiva durante la quale si ha un recupero parziale o totale e un graduale ritorno alla normalità.

Trattamento della spalla congelata

Il trattamento della spalla congelata ha come obiettivo il recupero funzionale dell’articolazione e quindi della mobilità. Questo viene affidato al fisioterapista che ha un approccio conservativo, cioè interviene con fisioterapia, terapie fisiche e terapie farmacologiche di antinfiammatori.

In alcuni casi possono essere indicate delle infiltrazioni di cortisone al fine di ridurre l’infiammazione articolare e quindi il dolore.

Laddove le terapie non dovessero essere efficaci e il dolore dovesse limitare le attività quotidiane si può intervenire chirurgicamente. Il trattamento chirurgico viene fatto in artroscopia e consente un rapido avvio della riabilitazione già il giorno dopo l’intervento.

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